L'origine incerta - Le forme della materia.

Prologo – L’impensato
“L’ordine è solo una parentesi fragile nel caos. Ma anche il caos ha le sue geometrie.”
Introduzione
Questo è il primo passo.
Una soglia varcata senza certezza, ma con una tensione che pulsa nel sangue.
Non c’è trama, né tempo stabilito. C’è un movimento. Un richiamo.
Ogni materia ha la sua forma, ma prima ancora, ogni forma nasce da un’urgenza, da un’impensabilità.
E qui, tutto comincia.
L’impensato
Le forme regolari della materia si riflettono ovunque,
e persino le ombre si inginocchiano alle loro guide.
Le siepi, amputate dal loro desiderio di azzurro,
private dell’oggetto del loro desiderio dalla sorgente della vita stessa,
vengono sospinte in una danza della morte, e della rinascita.
Quelle restie a cedersi a questo rito sono in realtà già trapassate
nelle vicine compagne di sventura.
L’aria fresca rimbalza sulle pareti,
come se dovesse riconquistarsi il diritto di avvolgere ed abbracciare,
e scivola via nel suono del mare evocato dal pulsare ritmato delle arterie.
La facilità con la quale mi perdo è inversamente proporzionale alla difficoltà con la quale mi ritrovo.
Anche l’albero, per niente elegante e maestoso, che si apre di fronte a me,
forse, per essere lì, deve nascondere qualcosa di oscuro.
Un’oscurità che non acquista un volto e un nome, nemmeno sotto le luci dei riflettori.
Qualcosa non andava.
Cosa, e dove!
Insinuazioni si annidavano sulla mia pelle,
e penetravano in profondità.
Ricordo.
Buchi ai quali ognuno legava un nome o una frase per dissipare.
Tenendomi sotto osservazione per una settimana,
ridestai uno dei molti, che allora credevo il medesimo,
e quasi mi soffocava, dopo essersi preso gioco di me nel terrorizzare.
Le esperienze si cancellano.
È un dramma!
È una fortuna farsesca!
In nessun luogo, in nessun tempo.
Identiche.
Monotonia, ripetizione, quotidianità,
Dei sciolti nella materia,
si insinuano nei movimenti sinodali
e proiettano serie ordinate in categorie di stile.
Volevano farmi anche schiavo del mio trascorso,
nella via crucis del servo perfetto che attende.
Come se il conflitto appartenesse solo a me.
Come se non potessi affrancarmi da un tempo soporifero.
Eccomi qua!
Devo fare due telefonate.
Devo andare là, ritirare, tornare, ricordare, montare.
L’appuntamento.
La colazione mi scoraggia.
Le discussioni devono essere abolite,
dissolute fino allo spasmo.
E da questa poderosa assenza trarre la possibilità di rinascite,
là dove si produce il depauperamento dei sistemi di misura e regolamentazione.
Sono schiavo anche delle mie parole.
Devo diventare un ossessionato professionista della decostruzione logica
di una piramide le cui fondamenta affondano nel terreno dell’abisso,
oppure posso partire da arbitrari confini
che deposito nella mia coscienza,
tracciando arbitrari sentieri
facendomi condurre dalla luce del mio sangue.
È doloroso
e autenticamente rassicurante
disfarsi delle cose.
Un bambino sta scappando da qualcosa, giù in metropolitana,
si infila in un vagone.
I soldi ce li ha.
Riappare fuori,
con la stessa camicetta blu con la fantasia floreale stilizzata bianca,
e i pantaloni di cotone blu scuro.
Due uomini lo affiancano e lo chiamano giovanotto.
Lui risponde “Signori” e fugge via, nella direzione opposta.
Finisce in un cimitero
a parlare di fronte a una tomba,
mentre tutti i colori lasciano il posto all’essenza delle forme,
e il bambino ritrova la voce
e la sorgente di un’attrazione che lo mette in movimento.
È un abbraccio.
È una passione?
Oggi mi sono masturbato pensando a una ragazza.
Senza alcuna linea eccessiva,
figura semplice dotata del fascino dei primordi.
Occhi grandi come due sfere di ghiaccio.
Abbiamo scopato recitando le parti del bene e del male,
scegliendo entrambe il destino delle fiamme e dei supplizi.
Ansimavo
e vibravo per un attimo.
Abbiamo fatto qualcosa di terribile!
La crudeltà segue linee ben disegnate nello spazio sociale,
segmenti che demarcano la possibilità di infliggere nel silenzio e nell’assenso
pene e dolori che ormai non stanno più là fuori,
ma rinchiusi nelle segrete della cassa toracica.
Possibilità di essere giustiziato da una contingenza di teoremi,
i cui assiomi riconoscono i delitti,
invocati a gran voce dagli stessi effimeri.
Crudeltà delle storie che ci vengono raccontate ogni giorno senza sosta,
storie che ci vogliono fare vivere
rimanendo sospesi eternamente nell’immobilità austera,
avvolti da una luce che ci rende cechi di fronte alla cecità.
Per fortuna l’intelligenza è ovunque,
e ogni dove essa, senza generalità,
acquista le sembianze di un dettato,
che se deve essere fatto lo deve essere subito, non importa quando.
È un’intelligenza paradossale.
Ci raccontano persino che è fantastico partire,
senza sapere dove andare
e quando ci arriveremo.
