an endless story

Ogni nuovo inizio è un viaggio, un cammino verso l’infinito che ci attende oltre l’orizzonte. Ogni pagina che gira, ogni idea che emerge, è come il primo raggio di sole che bacia la terra all’alba. “Fiftypages” è un luogo dove le storie prendono forma, dove le riflessioni si intrecciano con il tempo, e dove ogni pensiero diventa un seme che può crescere in modo imprevedibile.

In questo spazio, esploreremo insieme le infinite sfaccettature della nostra esistenza, affrontando il mistero e la meraviglia dell’ignoto. La storia che inizia qui è una storia di scoperta, di interrogativi, di risposte che, forse, non vogliamo ancora trovare. Ma è anche. una storia di condivisione, un racconto aperto a chiunque desideri fermarsi, riflettere, e dare forma alle proprie idee.

Non ci sono limiti a ciò che possiamo scoprire, perché ogni pagina è un inizio che si mescola con l’erano. Siamo tutti ricercatori, esploratori dell’invisibile, pronti a scrivere il nostro capitolo, tra sogni, esperienze e possibilità infinite.

Un cammino solitario e silenzioso, dove ogni parola è un passo verso l a comprensione di sé. Qui, non ci sono giudizi né aspettative, solo la libertà di essere vulnerabili ed autentici. uùn pensiero catturato e lasciato andare, come un seme che germoglia nella quiete della mente.

Questa pagina è un luogo dove la coscienza si svela lentamente, come una nebulosa che prende forma nel vuoto, esplorando le sfumature delle percezioni, dei ricordi e delle visioni. Ogni riflessione è un frammento di storia, ogni racconto è un esperienza che vi ve fuori dal tempo.

In questo spazio, non ci sono risposte definitive, ma solo il viaggio. Un viaggio in scoprire ciò che si nasconde tra le pieghe della mente, senza fretta, senza barriere. Un luogo dove l’anonimato diventa libertà e ogni pensiero può fluire senza paura.

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Oggi comincio, dal nulla, a descrivere l’indescrivibile. Ciò che mi spinge è l’opportunità di fermarmi e fare il punto; cercare qualcosa che già c’è (giace) e che deve emergere.

Ho sempre creduto che il tempo nella mente avesse regole differenti dal tempo che scandisce le nostre giornate. Per questo motivo, ed altri persi nella notte, di punto in bianco, ho appeso le parole sul filo per stendere i panni (ero sul terrazzo di una Guest house a Craby), e ho smesso di scrivere; perché il solo gesto della scrittura mi faceva perdere qualcosa ogni volta, e ogni volta mi sembrava che la perdita fosse sempre più grande.

Con il tempo, ma soprattutto affrancandomi dalla sua ossessione, mi sono convinto che solo nella mente risiede la verità di uno stato emotivo e il legame autentico con l’attimo che vivo, istante dopo istante. Ma questo è solo un mattone di un edificio invisibile che non finisce mai.

Oggi è un giorno qualunque, una domenica qualunque, un pomeriggio qualunque, un qualunque momento in cui non si capisce cosa sia più opportuno; a volte non fare niente è molto più stimolante che adoperarsi in qualcosa di noto anche alle piastrelle del pavimento. 

Diario del capitano, data terrestre 2303.25

Oggi il è mio 25.930esimo giorno nella Terra, e ormai non mi ricordo più nemmeno quando è iniziata la mia missione. Più tempo sono qui, più è difficile dire quando un giorno finisce e un altro comincia (non c’è bisogno di andare nello Spazio Profondo!). Non è facile tenere i piedi per terra quando perfino le persone che ti stanno attorno sono artificiose, ma faccio il possibile per sentirmi a mio agio.

Oggi è il mio 25.930esimo giorno sulla Terra e Milano è ancora qui, ferma nel suo caos elegante, tra i suoi grattacieli che sembrano toccare il cielo e le strade che non smettono mai di pulsare. Ma, come ogni altro giorno, è difficile capire dove finisce uno e inizia l’altro. Il tempo qui ha un ritmo tutto suo. Non è come in altri luoghi che ho visto, dove ogni momento sembra sospeso, come una fotografia in un album polveroso. Qui, il tempo è liquido. Scivola, si mescola, si perde tra le ore, tra una chiamata e un incontro. Milano sa come giocare con il tempo, facendoti sentire che stai vivendo nel presente, eppure ti lascia sempre una sensazione di déjà-vu.

Non è mai facile tenere i piedi per terra. La gente che mi circonda sembra tanto autentica quanto un cartellone pubblicitario, eppure, in qualche modo, si adatta a questo palcoscenico pluristratificato. Le facce sono tutte quelle che vedo ogni giorno: indifferenti, ma pronte a offrirti un sorriso di convenienza. Le conversazioni? Un’interminabile danza di parole perfette, tutte perfettamente calcolate, ma prive di vera connessione. Milano è uno di quei luoghi dove la gente è così occupata a sembrare autentica che non ha tempo per esserlo davvero.

Ma, forse, sono io che sono fuori posto. Dopo tutti questi giorni, mi chiedo se sono io che non riesco a smettere di cercare un senso in ogni piccola cosa che vedo, o se la città stessa è così brava a fingere che nessuno si accorga della finzione che è diventata la sua anima. Ogni tanto, mi fermo, mi guardo attorno e cerco di respirare, di sentirne la pulsazione. È in quei momenti che sento che la città ha un cuore che batte più forte di quanto riesca a immaginare. O forse è il mio cuore che vuole far parte di questa melodia frenetica, ma non riesce a tenere il passo.

Oggi piove ancora, e le strade sembrano abbandonate a se stesse. Si sente solo il rumore delle auto che navigano nelle enormi pozze rimaste dopo una notte di pioggia incessante. E’ domenica, e la settimana appenda trascorsa sembra abbandonata, come una vecchia bicicletta che nessuno si porterà mai via. E’ già passata, dimenticata, proprio come le mille cose che lascio cadere nel mio cammino.

Ho perso, disperso, la mia missione nella notte dei tempi, tuttavia, forse proprio per questo, sono riuscito a trovare qualcosa di simile al “mio posto”, un angolo tutto mio dove stare. Eppure, oggi mi rendo conto che, se mai quel posto esistesse, probabilmente non sarà mai in un angolo fisico, ma dentro di me. Milano, come il resto del mondo, è solo uno specchio. E io, come chiunque altro, ci sto cercando qualcosa che mi faccia sentire meno strano.

L’ironia è che, mentre cerco di trovare me stesso, mi sento più distaccato che mai. Forse è proprio questo il punto. Non siamo mai davvero radicati. Non siamo mai veramente a casa. La missione non è davvero quella di trovare un posto, ma di imparare a sentirsi a proprio agio nel non trovarlo. Forse, alla fine, la mia “missione” è solo una lunga serie di giorni, ciascuno simile al precedente, ma con qualcosa di infinitamente più sottile che cambia ogni volta. E forse è proprio questo il bello, in fondo: non dover mai sapere con certezza cosa ci riserva il prossimo giorno, ma essere pronti ad affrontarlo.