L'origine incerta - Le forme della materia.

“Ho bisogno dei miei sogni. In essi si compirà il destino dei miei passi.”


 

Inquietudine. Assenza. Regolarità.
Il mio individuo si dissolve e non sa.
Eppure ogni cosa, attorno, sembra trovare il suo posto.

Non posso amarti,
non dentro questo delirio calcolato.
Dovrei annientare l’istinto, sedurre il tempo.
Ma conosco questo dolore,
e non voglio che mi possieda.

Senza di te,
la bellezza si nasconde.
E questa è una sventura che non so misurare.


 

Il male e il bene:
due facce della stessa necessità.
Quell’uomo era già morto.

Non ricordo mai i miei sogni.
E questo mi turba con una sottile ambiguità.

Gli altri dicono di sognare.
Io so di sognare, ma non so cosa.
Nessuna forma, nessuna immagine.

Solo quando dormo nel pomeriggio
affiorano mostri:
forme ibride, brevi,
a volte tentano di soffocarmi.


 

Sono incastrato nelle leggi autoritarie
di un essere incompleto.

Ma so — so — che esiste
un’altra geografia dell’essere.

Una dimensione senza confini,
dove ogni segno cambia forma,
ogni istante è al tempo stesso solido e plastico,
reale e fluttuante.

Un teatro infinito
in cui posso compiere qualsiasi cosa,
e qualsiasi cosa può compiere me.


 

Ho bisogno dei miei sogni.
In essi si compie il destino dei miei passi.
La più autentica delle profezie.


 

Quante volte ho scritto ti amo?
Quante volte ho ignorato ciò che mi era stato donato?

Mondi impalpabili,
nascosti quanto evidenti.
Gioia e disperazione
danzano come una sola energia.

Quando riposeremo sui nostri corpi,
torneremo all’origine di tutti i mondi possibili.
Saremo già là
dove niente è,
eppure noi saremo.


 

Potete chiamarmi come volete.
Io sono Fausto.
Ma in realtà non ho un nome,
e preferisco questa ambiguità.


 

Sorride.
Mima gesti estasiati.
Io sono degno, dice il suo volto.

Il suo sguardo è così alieno
che potrei eliminare tutto il resto
e sarebbe comunque sublime.

Facciamo l’amore prima ancora di toccarci.
Quando ci avviciniamo,
le anime si intrecciano in una vibrazione che scavalca il corpo.

Piangiamo.
Ma non per dolore.
Perché siamo pieni.
Di ciò che eravamo.
E di ciò che non vogliamo più essere.

 

“No, non ci siamo ancora.
Abbandoniamo questa carcassa.
Lasciamoci liberare dai sogni.
I miei possono moltiplicarmi.
Io non devo sapere.
Io devo sentire.”

Distruggere è un atto d’amore.
Un’esaltazione lucida del piacere totale.


 

Usciamo.
Il nostro orgasmo diventa fumo tra le strade,
si espande,
danza con la morte
e non la respinge.
La accoglie.
Con gioia.

Bruciamo palazzi che non ci hanno mai contenuto.
Saccheggiamo il sacro.
Ci fermiamo solo per ascoltare i battiti.

Sputiamo in faccia alla disperazione
e la trasformiamo in forza.


 

Il piacere ha molti volti,
celati nella vergogna altrui.
Noi siamo nessuno.
E nessuno ci conoscerà.


 

Quando il cielo corre così veloce
da sembrare immobile,
so che qualcosa sta finendo — per finta.
E qualcosa sta cominciando — per finta.

Il cielo è così perfetto
che diventa amorfo.
È questo che ci aspetta.


 

E poi,
dopo la corsa,
dopo la danza e il furore,
dopo la distruzione senza tempo,
sorge — come un orologio svizzero —
l’angoscia del niente.

Una sottrazione oscura.
Forse la stessa materia
di certe oscenità ereditate.

Non posso oziare senza scopo.
Senza una direzione,
senza una minima tensione.

“Cosa farò domani per riparare?”


 

Mi avvicino a un pub.
Mai stato.
Dentro: giovani rampanti,
alcol a fiumi,
energia in saldo.

Forse dovrebbero cominciare
a lottare per la liberalizzazione
della coscienza.


 

Fuori campo:
“Ve lo avevamo promesso.”


 

Combatti.
Sfida il sentimento.
Scaglia il tuo corpo
nell’indefinita morsa.

La tua carne è la forza.
Oppure
soccombi
come
una
pietra.

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